Il Vangelo di Patriciello tra roghi di veleni e povertà
L' EPISODIO più impressionante, per cattolici e non, è quello in cui un ladro scippa a suor Faustina le ostie consacrate e tutti si mettono a cercarle nei cassonetti senza più ritrovarle. Storie di miseria e di tradimento, quelle del "Vangelo dalla Terra dei fuochi. Il prete anticamorra racconta" di don Maurizio Patriciello (Imprimatur editore), il prete della stessa diocesi di don Diana, simbolo della lotta contro l' avvelenamento delle terre tra la periferia di Napoli e il Casertano. Storie di fumi tossici e di incoerenza di chi vieta il pascolo ma non le coltivazioni. Ma storie anche di mortificazioni, come quella della depressa costretta a chiedere l' elemosina che viene ritrovata priva di coscienza, avvolta nei cartoni; o dell' altra che vende accendini a chi non fuma con l' insistenza della disperazione; dei giovani disoccupati o precari che distribuiscono 400 pasti alla stazione centrale di Napoli e a Villa Literno. La storia di Francuccio, che aveva giurato che «mai più», e che uscito dal carcere viene rivisto da don Patriciello al posto di combattimento delle reclute di camorra, e gli dice «Aiutami, padre». Nel suo libro il parroco di San Paolo Apostolo a Caivano mette in collegamento le due realtà, quella della povertà di periferie dimenticate e quella di chi a questa povertà ha ulteriormente mancato di rispetto, calpestandola con gli sversamenti velenosi. Il mantra è dietro ogni sipario che si apre, mostrando sempre la stessa devastazione. A pagina 26 l' eternit viene soffiato dal vento sui campi di fragolee cavolfiori «la zona, sotto sequestro, era semplicemente recintata da un nastro bianco e rosso». E c' è la famiglia Cannavacciuolo di Acerra che denuncia la nascita di agnelli deformi, la loro morte nelle terre di pascolo, dove la notte avvengono strani movimenti di camion, a cui nessuno crede. «Non sostanze tossiche - scrive don Patriciello - ma fertilizzanti. Le terre furono spalmate dai veleni come una fetta di pane e marmellata». Dalle colonne del quotidiano cattolico "Avvenire", il prete anticamorra lancia le sue invettive e fa uscire dai confini campani la sua denuncia, racconta le promesse del ministro dell' Ambiente Clini e le smentite del ministro della Salute Lorenzin, la morte di Rosaria per cancro mentre in casa entra l' odore forte dei roghi tossici. E quella dei figli di Mena, tutti e tre ammalati di tumore: «Ci vergogniamo tanto dei vicini: chissà che grave peccato penseranno che abbiamo commesso per essere puniti così». Fino alla lettera del 31 agosto scorso a Carmine Schiavone dopo l' intervista tv del boss al quale chiede aiuto «per svergognare questi loschi figuri nascosti dietro la cravatta e il computer» e perché confessi: «Dicci chiaramente dove, in quale contrada, in quale terreno sono stati sversati i veleni». E arriva a invitare il camorrista: «Vieni con noi, facci da guida». Ma il 3 settembre don Patriciello torna deluso dall' incontro con Schiavone. L' interrogativo più grande, il non sapere quale sia la colpa e da chi sia stata commessa è la peggiore condanna per la gente di padre Maurizio. Un interrogativo che resta lì, seppellito nelle terre del "triangolo della morte"
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