sabato 23 novembre 2013

Rifiuti tossici in Campania: Spunta l'Indesit dei Merloni

Per la commissione parlamentare l'azienda si è avvantaggiata "con certezza" dell'opera di smaltimento criminale dei casalesi. Le indagini della Criminalpol, dimenticate in un cassetto per quasi 20 anni, sono adesso agli atti del processo contro Chianese, considerato l'inventore del traffico illecito di sostanze tossiche. L'Espresso e RE Inchieste hanno ricostruito le intercettazioni e i rapporti esclusivi con i "manager" della società. Che si difende: "Mai coinvolta in attività illecite"


La Indesit è una delle aziende più importanti del Paese. Produce lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi, gestisce il marchio Ariston. I suoi proprietari, la famiglia Merloni, sono tra i pochi industriali ammessi nel salotto buono della finanza italiana: azionisti di Rcs, il patron Vittorio Merloni è stato presidente di Confindustria tra il 1980 e il 1984, anno in cui è diventato pure Cavaliere del Lavoro; oggi è membro del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti e siede nel cda della Telecom. "L'Espresso" e RE Inchieste hanno però scoperto che la Indesit è anche l'unica grande azienda individuata «con certezza», si legge in una riga nell'ultima relazione della commissione parlamentare sui rifiuti del febbraio 2013, «come produttore dei rifiuti avvantaggiato dall'opera del cartello criminale» dei casalesi.

A sorpresa il nome della Indesit, della Merloni Termosanistari spa e quello di due dirigenti di allora spuntano in una corposa informativa della Criminalpol del 1996, che non è mai stata resa pubblica e che non ha avuto seguiti giudiziari, ma che oggi è finita agli atti del processo contro Cipriano Chainese, considerato affiliato ai casalesi e l'inventore del traffico illecito di rifiuti tossici.

Il documento trovato  è devastante: la polizia criminale scrive che nel periodo 1994-1996 (gli anni d'oro del traffico illecito di monnezza, ndr) era «in essere nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti, verosimilmente anche tossico-nocivi data la natura stessa della produzione di questa struttura industriale, un rapporto esclusivo tra Chianese e i "manager" della Indesit Merloni».
Rifiuti tossici in Campania 
Spunta l'Indesit dei Merloni
La Indesit è una delle aziende più importanti del Paese. Produce lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi, gestisce il marchio Ariston. I suoi proprietari, la famiglia Merloni, sono tra i pochi industriali ammessi nel salotto buono della finanza italiana: azionisti di Rcs, il patron Vittorio Merloni è stato presidente di Confindustria tra il 1980 e il 1984, anno in cui è diventato pure Cavaliere del Lavoro; oggi è membro del Consiglio per le relazioni tra Italia e Stati Uniti e siede nel cda della Telecom. "L'Espresso" e RE Inchieste hanno però scoperto che la Indesit è anche l'unica grande azienda individuata «con certezza», si legge in una riga nell'ultima relazione della commissione parlamentare sui rifiuti del febbraio 2013, «come produttore dei rifiuti avvantaggiato dall'opera del cartello criminale» dei casalesi.

A sorpresa il nome della Indesit, della Merloni Termosanistari spa e quello di due dirigenti di allora spuntano in una corposa informativa della Criminalpol del 1996, che non è mai stata resa pubblica e che non ha avuto seguiti giudiziari, ma che oggi è finita agli atti del processo contro Cipriano Chainese, considerato affiliato ai casalesi e l'inventore del traffico illecito di rifiuti tossici.

Il documento trovato  è devastante: la polizia criminale scrive che nel periodo 1994-1996 (gli anni d'oro del traffico illecito di monnezza, ndr) era «in essere nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti prodotti, verosimilmente anche tossico-nocivi data la natura stessa della produzione di questa struttura industriale, un rapporto esclusivo tra Chianese e i "manager" della Indesit Merloni».



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Al telefono con l'avvocato considerato l'inventore dell'ecomafia e proprietario della discarica Resit ci sono «Ghirarducci» ed «Esposito», «probabilmente alti dirigenti della Indesit» (mai individuati né indagati, così come non risulta indagato nessuno dei dirigenti del gruppo che oggi si chiama Indesit Company) che avrebbero sfruttato i rapporti d'affari con il broker del gruppo criminale per far scomparire a poco prezzo gli scarti delle fabbriche dei Merloni.

Sentita da "L'Espresso", la Merloni si difende: «Indesit Company SpA non è mai stata coinvolta in attività illecite riguardanti lo smaltimento dei rifiuti né mai le sono stati contestati illeciti o irregolarità dalle autorità competenti, incluse quelle di cui si fa menzione negli atti parlamentari. Tutto il ciclo di smaltimento segue le più severe normative ed è sottoposto a certificazione di qualità. Le azioni di Indesit sono state sempre improntate al massimo rispetto per l’ambiente ed alla sua salvaguardia».

Sarà. Ma le intercettazioni sono decine e le accuse della Criminalpol - come vedremo - circostanziate e pesantissime.

L'INFORMATIVA SEGRETA
Gli squarci che apre il documento segreto sono notevoli. Nella vicenda tragica della Terra dei Fuochi c'è sempre stato un convitato di pietra: dopo 25 anni di sversamenti illeciti le inchieste della magistratura ("Adelphi" e "Cassiopea" su tutte) hanno individuato in parte le responsabilità dei camorristi, ma nessuna luce è stata mai accesa sulle aziende che pagavano i clan. «Sono aziende del Nord, anche di altri paesi europei», hanno ripetuti i pentiti Carmine Schiavone e Gaetano Vassallo, senza fare nomi. Spesso le intercettazioni hanno registrato le voci dei mediatori del Centro e del Nord Italia, ma non sono mai state effettuate indagini esaustive sui clienti "finali" dei broker: gli industriali del Nord non incontravano mai gli emissari del casalesi. E, di fatto, l'hanno fatta franca.

Finora l'unica grossa azienda finita sulle carte era l'Acna di Cengio, i cui fanghi sarebbero finiti in una discarica di Pianura. Ora, spunta quello della Indesit Merloni. Nel 1996 il gruppo marchigiano era già un colosso dell'elettronica: fondato nel 1975 con il nome di Merloni Elettrodomestici, gli industriali di Fabriano comprarono i rivali dell'Indesit finiti in amministrazione straordinaria nel 1987, decidendo di quotare lo stesso anno il gruppo in Borsa.

Indesit diventa negli anni '90 leader del mercato europeo, una quota che cresce nei lustri successivi: oggi il fatturato - leggendo il bilancio 2012 - tocca i 2,9 miliardi di euro. Nel 1996, dopo due anni di indagini serrate compiute sul campo da otto uomini scelti, il capo della squadra della Direzione centrale della polizia criminale firma l'informativa sull'attività di Chianese e la gira alla procura di Napoli. Il documento non viene utilizzato dai pm e rimane in un cassetto per 14 anni, nonostante centinaia di intercettazioni tra camorristi, imprenditori e broker considerati da molti pentiti "uomini di fiducia" dei casalesi (come Gaetano Vassallo, poi pentitosi dodici anni più tardi, lo stesso «l'inventore delle eco-mafie» Chianese e Gaetano Cerci).

«I magistrati mi dissero, quando consegnai l'inchiesta, di metterla subito su un supporto magnetico», racconta l'ispettore Roberto Mancini. «A distanza di qualche giorno mi arrivò il contrordine e il mio lavoro rimase una specie di "fascicolo virtuale" per altre indagini. Io mi arrabbiai molto, poiché che ci avevamo lavorato per due anni». Un lavoro importante, visto che la polizia criminale aveva scoperto nuovi dettagli su come funzionava il sistema criminale che ha avvelenato la Campania.

Nel 2010 le 239 pagine ingiallite della Criminalpol rispuntano fuori, e finiscono sulla scrivania del pm della Dda di Napoli Alessandro Milita. Che qualche mese fa ha convocato Mancini come teste e gli ha chiesto di illustrare il vecchio lavoro d'indagine: il magistrato ha infatti deciso di depositare gli atti nel processo che vede oggi alla sbarra Chianese (il boss Francesco Bidognetti ha scelto il rito abbreviato ed è stato condannato a 20 anni per disastro ambientale), accusato pure di avvelenamento delle falde acquifere. «Finora ho fatto 30 ore di udienze e ho riletto tutta l'informativa», chiosa Mancini.

LA MONNEZZA DEI MERLONI
L'abbiamo letta anche noi. Il primo dirigente Indesit intercettato nel 1994 è tale Ghirarducci, la cui utenza telefonica, dice la polizia, «risulta intestata alla Merloni Termosanitari spa, via Aristide Merloni 45 Fabriano». È il mese di dicembre. Il manager è in macchina, in viaggio verso Caserta, e chiama Chianese. Qualche mese prima l'avvocato vicino ai Casalesi era già stato arrestato per una storia di tangenti, ed era pure finito nell'inchiesta "Adelphi" sui rifiuti tossici. L'uomo di Merloni chiede a Chianese, che intanto era stato scarcerato, perché «non siete venuto poi a fare quel servizio famoso». L'avvocato spiega che «siamo rimasti d'accordo con Esposito che manda i camion lunedì mattina in quanto lui è a Fabriano….E siamo rimasti d'accordo che lunedì mattina facciamo tutta la pulizia e mettiamo i contenitori…Perché lui, Esposito, mi disse che aveva parlato con Lazzarin e tutti quanti a Fabriano».

I due concordano poi un incontro a quattr'occhi. «Questo breve dialogo» commenta la Criminalpol «dà la misura del livello di relazioni che legano l'avvocato casertano a una industria di primo piano quale è la Indesit Merloni e non di meno aiuta a comprendere il perché determinate attività svolte senza regole - qual è quella del mercante di rifiuti - stentino per meri interessi economici e di mercato ad essere interpretate per quelle che sono: crimini contro l'ambiente e la salute pubblica e bacino di utenza della camorra». La polizia è lapidaria: «È possibile accertare un rapporto commerciale in atto tra l’indagato (Chianesendr) e la nota azienda per ciò che concerne il ritiro, il trasporto e lo smaltimento degli scarti del ciclo produttivo… L’attività di “recupero rifiuti” è infatti svolta dall’associazione di imprese “Chianese-Giordano” che forte del beneplacito dei vertici amministrativi della Indesit opera con proprie regole e sostanzialmente fuori dai vincoli di legge».

Il nome Indesit e quello dei suoi dirigenti spuntano ovunque. Il 12 luglio 1995 Esposito, definito «funzionario Indesit», chiama Chianese. «Ci dovete rispondere avvocà, voi sapete quante risposte mi dovete dare per me?». Il broker finge di non sapere: «E che risposte ti devo dare?». L’uomo va al dunque: «Le autorizzazioni della discarica per fanghi». Detto fatto, Chianese ha già tutta la documentazione: «Sono pronte» risponde, facendogli notare che il giorno prima aveva ricevuto alcuni fax con le indicazioni mandate da un altro socio di Chianese, l'imprenditore Giovan Battista Toninelli, considerato dagli investigatori una sorta di omologo di Chianese al Nord. «In effetti», chiosa la Criminalpol, «sono stati intercettati dei fax il giorno 11 luglio, dalla San Rocco Srl, di Toninelli, concernenti l’offerta per lo smaltimento di fanghi di depurazione acque di scarico prodotti dalla Merloni Spa e destinati all’impianto della Vidori di Treviso (un centro di smaltimento ndr)».

Il sospetto degli investigatori è che Chianese non smaltiva monnezza tossica solo in Campania, ma in tutta Italia. Un sodale del broker, al telefono, è preoccupato perché gli sversatoi di rifiuti speciali chiudono uno dopo l'altro: «Cipria', tu lo sai meglio di me, Foggia chiude dopodomani…là a Gela, come mi hanno detto perché abbiamo fatto una riunione all'Unione industriali, e ci hanno detto che entro aprile chiude anche Gela perché è esaurita…poi rimangono solo il Nord Italia verso i confini, Piemonte, Brescia, Lombardia…Oggi la Campania può dire di essere non più la pattumiera d'Italia, ma l'esportatrice dei rifiuti, nel mondo e in Italia!».

TRA FANGHI E VERNICI
Le telefonate tra Chianese e i presunti dirigenti dell'Indesit sono decine: si parla di vendita di «dischi», di bolle di accompagnamento, di fanghi e di soldi: «Hanno inizio una serie di contatti che spiegano come l’indagato (Chianese ndr) – in combutta con alcuni personaggi dell’apparato formalmente pseudo-legale ma di fatto inserito nel traffico clandestino di rifiuti - proceda allo smaltimento di una parte degli scarti di produzione della Indesit». Un sistema che serviva a risolvere «il problema dell’emergenza scorie in atto presso l’azienda Indesit».

Molti rifiuti provengono dallo stabilimento di Teverola, vicino Caserta. Le telefonate sono quasi quotidiane. Il 17 luglio ’95 Esposito legge a Chianese una nota da allegare ai rifiuti Indesit: «Avvocà, per quanto riguarda i fanghi vi faccio una nota aggiuntiva all’ordine aperto che ci avete sia per lo stabilimento 11 che per il 12 e dico: “Ritiro, trasporto e smaltimento in impianti autorizzati fuori regione Campania, rifiuti industriali di seconda categoria tipo B", poi tra parentesi, fanghi da nostri impianti di lavorazione comprensivi di noleggio compattatore e contenitore costo tutto compreso 680 lire, cioè è aumentato di 110 lire».

La telefonata si chiude con una richiesta di Esposito, «uno strano accordo» che lascia intravedere «un’ammissione che presso gli stabilimenti Indesit vengono certificati avvenuti smaltimenti in modo fraudolento e concordato». Altra data segnata nel rapporto della polizia è il 4 settembre 1995: «Due telefonate che hanno per oggetto un raffazzonato e pseudo legale smaltimento dei fanghi raccolti presso gli stabilimenti della Indesit Merloni». La prassi è identica: una società, questa volta in provincia di Roma, si accorda con Chianese per ricevere i rifiuti della Indesit. «Disponibilità al conferimento presso l’impianto nostro, prodotti dalla Merloni..46 e 47». La reazione dell’interlocutore di Chianese non si fa attendere:«Ah! Eccola vedi, te l’ho detto che era Merloni, Merloni elettrodomestici!».

Il 27 settembre proseguono i contatti tra Chianese e quelli che sono individuati come responsabili della Merloni. Questa volta è tale Ciro Punzo a inviare un fax all’avvocato originario di Parete, in cui lo informa di una riunione alla Prefettura di Caserta alla presenza del sub commissario per l’emergenza rifiuti in cui è stato proposto di realizzare un sito per lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti prodotti dalla ditta Merloni. Il 7 e il 12 dicembre dagli uffici di Chianese partono due fax diretti alla Merloni. L'azienda avrebbe mandato rifiuti misti a vernice: anche per i casalesi è troppo. «Si chiede alla ditta», dice la Criminalpol, «di non immettere nei fanghi da smaltire altri rifiuti quali le vernici avvertendo che gli stessi rifiuti sono stati respinti dallo smaltitore e si trovano presso il deposito di Parete in attesa di indicazioni in merito». I rapporti tra i responsabili di Indesit e Chianese proseguono anche nel ‘96.

La Criminalpol aveva sospetti pesanti, ma tutta l'attività di indagine è finita in una bolla di sapone. I dirigenti intercettati dell'Indesit non sono mai stati indagati, e neppure interrogati. E se le ipotesi investigative d'allora avessero avuto una rilevanza penale, oggi rischierebbero di essere prescritti. Roberto Mancini, l'ispettore che seguì le indagini, ora lotta contro il cancro: «Non è stato facile portare avanti l'indagine, ho avuto mille ostacoli» ricorda. Peccato: perché il sistema criminale messo in piedi dai Casalesi che ha avvelenato falde e terreni e avvantaggiato molte aziende del Nord si sarebbe forse potuto scoprire vent'anni fa. In troppi hanno ostacolato la ricerca della verità.

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