I cinquantamila cittadini della “Terra dei Fuochi” che sabato scorso hanno manifestato a Napoli con lo slogan “Stop biocidio”, per protestare contro gli inceneritori e per le bonifiche dei territori devastati dai rifiuti tossici, giustamente non hanno voluto che all’iniziativa partecipassero rappresentanti delle Istituzioni. Molti di costoro, con la loro inerzia, hanno consentito per vent’anni almeno, che le organizzazioni malavitose usurpassero il territorio. Nella sua lettera pastorale della scorsa estate, il Vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, colse quest’aspetto, insieme a quello della paura: “Non vorremmo - scrisse - che le generazioni future debbano dire che siamo stati degli sciocchi egoisti, che ci siamo fatti abbagliare dal falso luccichio del denaro e abbiamo svenduto e perduto la ricchezza vera. Dobbiamo riconoscere che tanto scempio è stato causato dalla prepotenza affarista di alcuni, ma anche dal silenzio di tanti. Silenzio non solo segno di un comprensibile atteggiamento di paura, ma spesso espressione di un vivere nell’indifferenza, nel disinteresse per tutto ciò che non ci appartiene direttamente”.
Le battaglie di questi anni di Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano - presente alla manifestazione - contro lo sversamento dei rifiuti e i roghi tossici, sono rimaste isolate, a volte anche derise, come egli stesso ha sottolineato durante un convegno dello scorso 25 ottobre a Tassinari di Pozzuoli: “Sono il pastore della mia gente - ha detto - un osservatore attento della realtà, non uno scienziato, quindi, non posso dare una risposta certa (sul nesso tra tumori e veleni, n.d.r.), ma dobbiamo chiedere ad alta voce che sia chi governa a fornirla anziché di sostenere il contrario. Ci sono alcune persone che ritengono che un nesso c’è. La certezza è che in queste zone si muore, vedo i roghi, i fumi a tutte le ore della giornata. Nel mio paese abbiamo anche perso il diritto di avere le finestre aperte in estate (…). La strada è lunga, dura, ma non bisogna farsi condizionare dai profeti di sventura, da coloro che hanno perso la speranza e ritengono tutto inutile. Io ho subito già diversi attacchi, la macchina del fango è in moto e mi attendo ancora di più. Chi si sente colpito si deve difendere. Stiamo vivendo una situazione veramente anomala, ma dobbiamo uscirne fuori, serve una marcia in più. Serve tutto tranne negare o annacquare”.
Don Maurizio chiede di fare le verifiche necessarie, anche sulle dichiarazioni di Carmine Schiavone, per lunghi anni “amministratore delegato” del clan dei casalesi, pentito dal 1993, che nel mese di agosto rilasciò a Sky un’intervista, nella quale - oltre ad auto-accusarsi di aver ordinato centinaia di omicidi - raccontò dei materiali di pittura, rifiuti farmaceutici, chimici, ospedalieri, cassette e fanghi termonucleari, provenienti da società di Milano, Pisa, Verona, Roma, ma anche dalla Germania, dalla Francia e dall’Austria ed elencò le zone usate come discariche: Casale, Castel Volturno, Santa Maria La Fossa, Grazzanise, le cave di sabbia del lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli, il sud Pontino, in provincia di Latina. Rifiuti interrati fino a 18 metri di profondità. Nel 1997, Schiavone depose davanti alla Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti e riferì di un presunto traffico di materiale illecito gestito dalla Sacra Corona Unita e dalla Camorra, che avrebbe avuto come terminale il Salento. Nei primi giorni di novembre, il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, ha definito quel discorso - ripreso nelle scorse settimane - "generico" e "privo di risconti", confermando che fu vagliato attentamente dalla magistratura ed ha aggiunto che in Salento “non c'è nulla di cui preoccuparsi" in tema di rifiuti pericolosi interrati.
Di segno analogo le parole dei giorni scorsi dei magistrati della Dia, Federico Cafiero De Raho e Raffaele Cantone - per lungo tempo impegnati nelle inchieste sui reati ambientali - i quali hanno sostenuto che le dichiarazioni di Schiavone sono state oggetto di indagini negli anni trascorsi e che nulla è emerso sui rifiuti radioattivi. Cantone, in particolare, ha affermato nel corso di un’intervista al TG3 campano: “Io sono contento di una cosa… le dichiarazioni di Schiavone hanno aperto un focus sulla ‘Terra dei Fuochi’. Ma come cittadino sono deluso dal fatto che bisogna attendere le dichiarazioni di un pentito per accorgersi di una situazione preoccupante che non ha nulla a che vedere con i rifiuti radioattivi”. Tradotta, quest’affermazione vuol dire che il problema delle bonifiche di quei territori è reale e dev’essere affrontato, respingendo al mittente le improvvide dichiarazioni dello scorso 9 novembre del Sindaco di Capua, Carmine Antropoli: “Non posso che associarmi al pensiero dei magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone. Mi fa piacere che l’attenzione pubblica sia stata ulteriormente stimolata in merito alle nefandezze ambientali perpetrate anni addietro dalla camorra, ma devo anche dire che le ripercussioni in termini di immagine che sta subendo la nostra provincia sono notevoli”. Qui non si tratta di immagine, ma di identità di un territorio, che per anni e anni - per ammissione di coloro che su questi fatti hanno indagato - è stato oggetto di reati gravissimi contro la salute pubblica, anche grazie al silenzio connivente di gran parte della popolazione e delle Istituzioni.
In base al rapporto “Ecomafia 2012” di Lega Ambiente, l’anno scorso sono stati 34.120 i reati accertati in materia ambientale, 28.132 le persone denunciate, 8.286 i sequestri. Il fatturato dell’eco-mafia è stimato in 16,7 miliardi di euro, gestiti da 302 “clan” criminali, concentrati nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia), dove si consumano il 45,7% dei reati ambientali. Come ha giustamente sottolineato di recente il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, “va sviluppata la più attenta vigilanza da parte delle istituzioni, affinché, attraverso il ricorso a tutti i più efficaci mezzi di indagine e coordinamento investigativo, sia assicurato il massimo contrasto delle attività illecite contro l’ambiente” ed è necessario “far crescere, specie tra le giovani generazioni, la cultura del rispetto e della difesa dell’ambiente e diffondere nella società civile una matura consapevolezza ambientale”. Proprio per questa ragione, le manifestazioni pacifiche come quelle di sabato scorso a Napoli, non solo onorano il coraggio di chi le fa, ma sono l’unico modo civile per rispondere ad una criminalità che ha svolto per troppo tempo impunemente i suoi affari.
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