Non possiamo dimostrarlo. Ma possiamo dirlo perché lo pensiamo, perché è palese, perché ce lo diciamo, parlando, guardandoci negli occhi, piangendo i nostri cari che non ci sono più: certe morti, da queste parti, sono anomale. Troppo. La storia di Anna è di un anno fa. A pensarci fa ancora male.
C'è stato un momento in cui mi sono resa davvero conto di essere immersa in una situazione innaturale, irreale, anomala. È stato circa un anno fa.
Anna non era esattamente una mia amica: eravamo andate nella stessa scuola elementare, le nostre famiglie si conoscevano. Ci eravamo guardate attraverso i banchi di scuola per poi perderci, prendere strade diverse, anche se qualche volta ci incontravamo per caso, sull’autobus per Napoli. Ci salutavamo appena e non sedevamo mai vicine.
Non avevamo nulla da dirci, probabilmente, non avevamo voglia di ricordare i tempi della scuola. L’ultima volta che l’ho vista ho notato che aveva tolto gli occhiali. Non me la tolgo dalla testa. Era giusto un anno fa: mia sorella mi ha preso da parte e mi ha detto: «Ti ricordi di Anna, la tua amica, quella ragazza con i capelli scuri?». «Si, certo», rispondo, prevenendo con una faccia seccata quello che pensavo mi avrebbe riferito di lei, qualcosa del tipo: andata a vivere fuori/ha sposato un uomo completamente calvo/ha messo su venti chili/è stata presa al Grande Fratello. «È morta» spara senza troppo riguardo e delicatezza, il che, credetemi, è molto meglio che «mettiti seduta, devo darti una notizia difficile».
Anna aveva la mia stessa età, era sana, studiava e lavorava. Come si dice: “non aveva grilli per la testa”. Andava a letto alle 9 di sera, era capace e intelligente, aveva un futuro davanti. È morta nel suo letto dopo pochi mesi dalla diagnosi di cancro. Avrà capito cosa stava accadendo? Gliel'avranno nascosto con qualche pietosa bugia? Pensarci mi fa star male. Anna sono io, potevo essere io. Abbiamo studiato nella stessa scuola, frequentato le stesse persone, ci siamo incrociate cento volte per strada, sull’autobus. La sua vita era la mia. Casa sua non era certo a ridosso di una discarica; non respirava le venefiche esalazioni che da queste parti spuntano nei campi e ammorbano l'aria, avvelenano il terreno, contaminano le acque. Nessuno può provare la causa della sua morte, ma quest'anomalia la sentiamo tutti, la avvertiamo tutti. È in quest'aria, in questa terra, in quest'acqua. Viviamo qui: siamo condannati? Al suo funerale la chiesa era stracolma, come accade quando ci sono morti violente, improvvise, quando la comunità perde un membro giovane. Da allora si sono ammalate molte persone che conosco. O forse da allora ho iniziato a farci caso. Ad essere consapevole che no, questa non è una vita normale.
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